RENZO CRESTI

L'ARTE INNOCENTE

Le vie eccentriche della musica contemporanea italiana
Postfazione di Renato Nicolini
Ed. Rugginenti ,2004

Compositori:
Mario Cesa, Gianfranco Pernaiachi, Fernando Mencherini Biagio Putignano, Giampaolo Coral, Nicola Cisternino, Gianvincenzo Cresta

Saggi di : Moreno Andreatta, Pierluigi Basso, Paola Ciarlantini, Fiorella Sassanelli, Luigi Verdi

In allegato: Saggio transmediale sulle poetiche dei sette compositori. Percorsi apofatici di assenzialismo in musica CD-Rom/Audio a cura di Carmine Moscariello (Italiano English Français)

(Nicola Cisternino risponde alle dieci domande poste da Renzo Cresti agli autori)

Renzo Cresti
Qual'è il tuo rapporto con la tradizione culturale in genere e specificatamente con la storia della musica?

Nicola Cisternino
Inevitabilmente è un rapporto di filiazione, siamo tutti, più o meno consapevolmente, figli della storia; il problema è che tipo di figli siamo noi... c'è una storia del mondo, e quindi anche del mondo dei suoni, e c'è una propria storia individuale e quindi una propria storia con i suoni. E' un rapporto di graduale consapevolezza, di presa di coscienza e di scoperta che in quella che noi consideriamo storia, in quanto percorso dei processi e dei fatti sedimentati e trasmessi, ciò che in realtà noi percepiamo è solo la struttura o nervatura che si è cristallizzata, ciò che di mobile, trasferibile, strettamente legato al vissuto che c'è stato, inevitabilmente si è perso o meglio si è come vaporizzato... potremmo considerare la musica che ci viene trasmessa dalla storia come una sorta di vaporizzazione o come una sorta di risulta di tutto ciò che è stato un vissuto con i suoni. E' la grande questione della trasmissione scritta-orale.... prendere consapevolezza, oltre al fatto naturalmente della continua conoscenza di fatti, personaggi, idee, eventi e contesti, significa ricercare il 'non raccontato' della storia (anche di quella della musica e dei suoni) riconnettere esperienze e testi rimasti un pò come reperti, o punte di iceberg, che segnalano certe presenze ed esperienze... per cui ciò che noi chiamiamo storia, anche quella musicale, io la vedrei più come una sorta di codice, di mappa, di scrittura che naturalmente ha bisogno di essere letta; per cui sul piano individuale, per la storia dei suoni, inevitabilmente diviene una propria interpretazione e una sorta di ricerca sensibile di quei fili che ti raccontano di identità (creazioni, esperienze, dinamiche linguistiche ma anche sociali) simili al di là del tempo... anche la storia della musica e dei suoni in effetti è un qualcosa che ha più a che fare con le categorie dello spazio (non a caso ciò che resta è la storia 'scritta') più che con le categorie del tempo (le manifestazioni del suono con le sue pratiche, le sue interpretazioni, il suo vivere).

Per i suoni la storia non è rappresentata tanto dalla 'narrazione' dei libri, quanto dai luoghi, dalle architetture (basta pensare alla realizzazione dell'uomo degli ambienti per il suono, dalle chiese alle cattedrali, ai teatri, alle piazze, alle città....) dai paesaggi naturali (quanto ha influito sulle creazioni musicali il paesaggio sonoro, la strutturazione del paesaggio naturale, rurale ma anche urbano e industriale...); è una 'storia' nella quale siamo immersi, è un ambito che in fondo, per certi aspetti possiamo anche scegliere, costruire, determinare....In questo senso la storia può svelarci delle grandi sorprese (come per gli archeologi) nel momento in cui abbiamo gli occhi, ma soprattutto le orecchie sbarrate pronte ad accogliere segnali e messaggi che possono giungere in qualsiasi momento del giorno (e della notte), in qualsiasi luogo e situazione. Sul piano più strettamente musicale ciò che mi interessa maggiormente sono dunque innanzitutto i processi legati al 'trattamento' del suono, ma anche quei particolari rapporti tra i testi musicali e i loro contesti referenti, contesti rintracciabili principalmente in altri 'ambiti' della conoscenza, artistici ma anche scientifici, simbolici. Sotto questo aspetto la tradizione ermetica rinascimentale o anche del primo medioevo e del canto gregoriano si rivela di una ricchezza straordinaria, soprattutto nei 'contesto' italiano di quell'epoca fatto di incroci tra oriente e occidente, di visionarietà e sapienzialità, di straordinaria e fantasiosa ricerca dell'uomo nel suo riconoscersi in quanto tale, essere determinato fra altri esseri.

Ciò che oggi ha poi una certa importanza, è la possibilità di vivere un rapporto con la storia dei suoni, non più solo eurocentrica, ma anche con le svariate modalità e filosofie sonore di altre culture, molte delle quali mettono proprio al centro il suono e la musica; non si tratta tanto di una ricercatezza esotica, comparativa o di pura 'suggestione', bensì si tratta di arricchire le sonorità del proprio mondo ( o della propria visione del mondo) e soprattutto scoprirne le straordinarie connessioni che portano, in culture e contesti ambientali assolutamente diversi, verso il suono. Questa storia, fatta di differenze, di diversità, va arricchita in questa molteplicità e non, come frequentemente oggi accade, riportata o levigata verso una unicità che non esiste... se storia deve esserci può essere preziosa solo se valorizza le differenze altrimenti tutto diventa una marmellata di cui la storia è solo un colorante. E' questa diversità che rende grande e percorribile il mondo, altrimenti tutto - ma solo in forma surrogata- è troppo vicino e a portata immediata. La storia può, valorizzando le differenze, ingrandire il mondo, renderlo più ampio di quello che invece, la tecnologia vorrebbe farci credere con il tele-spaziotempo reale. In questo le storie dei suoni, le straordinarie e ancestrali Vie dei canti aborigene di cui ci racconta Chatwin, sono un efficace modello per il futuro...in fondo il ritorno-rientro alla caverna telematica nel villaggio globale è una realtà sociale di cui se ne misurano già gli effetti sconvolgenti, e la folgorante visione platonica nella celebre mitologia sulla limitatezza della conoscenza del reale attraverso il buco-schermo è quanto mai attuale.


Come ti situi in relazione alle strade maestre del secondo Novecento, in particolare, in rapporto allo Strutturalismo (Darmstadt), alla casualità (Cage), al Minimalismo, agli spettrali, al Post-Moderno (neo-romanticismo) o ad altro.

Al di là di categorie schematiche, utili come si diceva alla 'scrittura' della storia più che alla storia nella sua complessità, la mia ricerca si muove tendenzialmente verso un più diretto approccio con il suono, la sua natura complessa, la sua qualità di tramite o di 'mezzo' per darci consapevolezza e conoscenza, forse di altro rispetto al suono stesso. Quelle citate sono tutte esperienze preziose con il suono ma non in quanto categorie assolute, bensì in quanto atteggiamenti verso il suono. E' la qualità dell'approccio la vera categoria, è l'autenticità dell'opera a lasciare il segno; sotto questo aspetto tutto il percorso creativo e artistico di Cage nella sua completezza (dall'invenzione fino al paradosso) è uno dei più esemplari. Ma oltre a Cage altri percorsi sapienziali (proprio perché meno categorizzati) con il suono sono per me molto più rilevanti nel secondo novecento; da Varése, a Scelsi, a Maderna, a Xenakis, a Nono. Ciò che per me assume un grande valore in queste traiettorie artistiche è l'interezza e la complessità del loro percorso laddove l'esperienza con il suono non è mai 'asettica' o isolata da altre ricerche ed esperienze (dalle scienze, all'invenzione, alla mistica) e impossibile a ridursi a una sola delle fasi creative.... Ciò che mi attrae di questi maestri sono i percorsi, i loro punti di vista sulla realtà (sonora, storica, linguistica, tecnica, sociale...) che è possibile ripercorrere attaverso i loro capolavori, occasione di studio continuo...

 

 
Quali autori (storici e viventi) senti più vicini alla tua sensibilità e al tuo linguaggio? Hai rapporti di lavoro con altri compositori?

Inevitabilmente gli autori vicini sono queste 'traiettorie' sopracitate, vere e proprie meteore, quantitativamente sotterranee all'ufficialità della lettura musicologica, ma folgoranti nella loro unicità e nel loro insegnamento.

I rapporti di lavoro nell'ambito della musica per quel che mi riguarda sono strettamente correlati alla vita, all'amicizia, alla voglia di conoscenza di esperienze , queste certo più vicine alla nostra sensibilità, che si ha la possibilità di vivere attraverso la musica. Ho difficoltà a intrecciare rapporti anche di lavoro con chi sento troppo lontano, pur avendo grande rispetto e riconoscenza per queste diversità. Per cui grazie alla fortuna di poter lavorare in qualità di direttore di ensemble (il Brake Drum Percussion dal '97 fino al 2001 e dal 99 con l'Ensemble Siddharta) e di organizzatore di festivals e concerti con il progetto Sonopolis a Venezia ma anche il altre città d'Italia dal oltre dieci anni, si sono rafforzati e intessuti rapporti di amicizia sempre più fertili, spesso confluiti in iniziative e progetti realizzati insieme con figure di primo piano, compositori ma anche intrepreti, della scena musicale d'oggi; dal maestro sempre più amato e scoperto Sylvano Bussotti, a Hugues Dufourt, a Ivo Malec, Francis Miroglio, a Gérard Pape e agli Ateliers UPIC (divenuto attualmente Centre de Création Musicale Iannis Xenakis) al flautista Philippe Tailleux, al musicologo, compositore nonché straordinario clarinettista Pierre Albert Castanet vero cordone ombelicale con il mondo musicale e culturale francese grazie al quale ho potuto conoscere l'opera di Scelsi su cui poi stiamo lavorando da oltre dieci anni, agli italiani Enrico Cocco, Aldo Brizzi, a Giancarlo Schiaffini e Roberto Fabbriciani, a Enzo Porta e Annamaria Morini, a Mauro Castellano e Silvia Belfiore, al compositore latino-americano Diogene Rivas e al violinista David Nuñez

 

Quali sono i tuoi procedimenti mentali in genere? E quali le tecniche utilizzate per costruire il pezzo?

Bella domanda....intanto un primo fattore da rilevare credo che sia quello del tempo, nel senso che granparte delle composizioni possono avere un tempo molto lungo, sempre più spesso di anni, che intercorre tra l'idea iniziale e la sua definitiva realizzazione. Ho una sorta di archivio di idee e progetti appena abbozzati o di prima elaborazione sui quali opero diciamo costantemente fino a quando uno di questi, per varie ragioni, ma non di carattere produttivo o di occasione, si vanno a realizzare. Ho notato ad esempio nel tempo, che tutti quei progetti sui quali avevo accettato di lavorare 'su commissione' per compromesso perché c'era magari un'immediata possibilità di realizzazione, una volta completati, stranamente per vari motivi non hanno mai trovato la loro realizzazione, veri e propri peccati di gioventù. E' successo all'inizio, negli anni ottanta ad esempio in tre o quattro casi... ho imparato così ad accettare eventuali 'sollecitazioni' solo avendone la totale libertà di decisione sull'organico, sui tempi di realizzazione che con il passare del tempo, diventano sempre più lunghi ed 'oziosi'. E' la vera libertà che è rivendicata dall'opera stessa, che neanche , ma soprattutto l'autore, non può forzare... è una sorta di tacito contratto con energie misteriose che va assolutamente rispettato.

Il nucleo centrale delle scelte di carattere strettamente tecnico-poetiche comunque si situano soprattutto su una precisa individuazione in termini di 'pre-ascolto' interiore del suono-matrice della composizione... normalmente, partendo da numerosi segnali e sollecitazioni generati da ricerche, letture, visioni di fonti più svariate, si condensa una sorta di idea sonora fissa e globale che con i suoi tempi, si manifesta sempre più in superficie, fino a quando , giunta a maturazione 'sboccia' in tempi molto stretti... normalmente alcuni giorni o alcune settimane di totale concentrazione sulla realizzazione della partitura. La chiave del passaggio, dalla fase diciamo dell'interno (gestazione e pre-ascolto) verso l'esterno (stesura della partitura) ha un suo momento centrale e fondamentale che è quello della 'pre-visione', della rappresentazione scritta, di-segnata, di quella sonorità pre-ascoltata; solo quando il pre-ascolto prende forma in questa sorta di pre-visione e si fa scrittura, è arrivato il tempo giusto o 'debito' perché si concretizzi nella partitura. Il vero atto 'compositivo' sta proprio in questa connessione tra il pre-ascolto e la pre-visione, qualcosa che risuona interiormente che si fa 'vedere'; da qui la necessità costituzionale della scrittura non in quanto notazione 'universale' che permette di mettere in visione la vita dei suoni, bensì in quanto messa nello spazio proprio di quel tempo proprio che è il suono. In fondo ogni suono, come ogni creazione, non chiede altro che essere come una creatura vivente, unica, irripetibile, fatta di vita propria, perfettamente riconoscibile proprio nella sua unicità, come lo può essere appunto ogni uomo, ma anche ogni animale, ogni vegetale o ogni foglia di un albero. Relativamente invece alle tecniche, c'è la necessità di specificare che sono soprattutto i processi (relazioni logiche, di compatibilità, di aggregazione o di dissociazione... ) suggeriti dalla materia stessa pre-ascoltata a suggerire i percorsi 'tecnici' nella creazione. C'è dunque prima un processo di 'identificazione' del suono globale in pre-ascolto; in questa fase il principio primo è soprattutto decompositivo, cercando di individuare le componenti costitutive di questa globalità sonora che proprio perché pre-ascoltata, ha una natura molteplice (psichica e proiettiva); nulla di scontato o di automatico, ma tutto in assoluta libertà, intuizione e invenzione, in cui prevalga il piacere della scoperta e dell'invenzione pura. Si otterrà così una sorta di materia e una prima globale 'catalogazione' dei piani utili alla ri-composizione per dare manifestazione, quando il percorso è riuscito, a quell'entità percepita su un piano sensibile.

Credo forse utile riferire che lo stesso processo si realizzava già in parte nelle mie creazioni 'visuali' come i Graffiti Sonori , ma ancor più con le più recenti Preghiere Tibetane per le quali l'atto primario è l'individuazione e la 'creazione' della materia stessa di cui è fatta la preghiera. Una materia che deve avere solo alcune caratteristiche fondamentali quali innanzitutto la leggerezza con possibilità di vibrazione-movimento nello spazio ma anche della visione, una sorta di principio mantrico del suono riportato alla materia visuale.

 

Come intendi il concetto di forma, di spazio e di tempo musicale?

In queste modalità che - bisogna ricordare, non pre-esistono all'idea, ma sono l'idea stessa, ed appaiono o esistono solo allorquando vengono a manifestarsi - l'idea di forma, come già Varése ricordava, è il risultato dei processi o dei persorsi e non il contrario... le forme del suono sono assolutamente evidenti quando si manifestano (poiché abbiamo le qualità per riconoscerle ed appartenergli immediatamente per ancestrali connessioni neuroniche evidentemente) ma altrettanto assolutamente invisibili e mimetizzate prima della loro manifestazione. Fino a quel momento vivono attorno a noi, ci fanno da abitat (e dunque spazio e tempo ma anche spazio-tempo).... il passaggio sta nel ri-conoscimento, nella rilevAzione del dato-principio. In un certo senso, lo stato di necessità che è la condizione primaria della creazione (composizione? de-composizione?) musicale parte da questo riconoscimento, da questo 'incontro' con l'altro da sé, uno svelamento di una condizione-realtà circostante fino ad allora muta, che non ci chimava e verso la quale noi eravamo sordi e ciechi. E il richiamo, il segnale - o segno- è la vibrazione , non qualcosa di vagamente o banalmente emotivo, ma la chiara, epidermica rilevazione di un cambiamento di stato che porta ad una trasformazione nel suo valore mistico più profondo... In fondo, ricordo ancora una interrogazione che alcuni anni fa girava in una iniziativa organizzata da Renzo Cresti a Lucca, sul tema della bellezza... La risposta che allora mi diedi fu che per me la bellezza in fondo, è tutto ciò che ci trasforma, tutto ciò che ci rende unici allorquando in prossimità percettiva, spaziale o temporale, con qualcosa di animato o inanimato, viviamo il 'miracolo' della trasformazione, del non essere più quelli dell'attimo prima, e dunque del passaggio. Può essere forse questa la categoria più efficace del tempo, o meglio dello spazio-tempo, di quella entità che ci permette di vivere un 'passaggio', un cambiamento di stato (percettivo, emotivo, sensibile...).

 

Qual'è per te la funzione dell'intervallo?

L'intervallo è sì un concetto di misurazione o di esplorazione dello spazio sonoro, ma è soprattutto una condizione dell'attraversamento del suono, come direbbe Paul Virilio, è la tragittività . E' dunque una condizione, uno stato, un modo di essere all'interno del suono e fluttuarvi dentro e dunque di avere consapevolezza delle relazioni. Processi e relazioni, e non sterile misurazione (intervallare), secondo l'insegnamento del canto gregoriano. Gli intervalli dunque sono delle stazioni di questo attraversamento-processo-percorso che trasforma il suono e la sua condizione in quanto stadio di passaggio, ma sono anche dei valori di proiezione del suono, è un pò come una proiezione nello spazio di una forma dell'energia sonora, della sua potenzialità insita; questo stadio di passaggio infatti non è legato a criteri astratti o a misurazioni esterne al suono, ma è strettamente legato all'energia del suono in quella fase (iniziale, intermedia, finale) e dunque corrispondente non alla rappresentazione di un sistema astratto ma a quella della qualità della materia sonora (strumento, tecnologie strumentali adottate..); in questo la misurazione dello spazio sonoro (che limitatamente possiamo definire ancora intervallo in tutte le sue espansioni possibili) è più corrispondente ai principi (o cicli) generatori di origine pitagorica, la tensione e la distensione della corda, del soffio... della materia sonora.

 

Vuoi provare a ri-definire i parametri musicali: melodia, armonia, polifonia, ritmo, timbro, dinamiche, altro.

Sono tutte componenti analitiche che concorrono ad un processo globale che è il suono e la sua vita; se c'è una riformulazione da sottolineare è quella soprattutto di ricercare le qualità primarie che tengono assieme tutte queste 'facce' della vita del suono. Il suono è una globalità che tale deve essere riaffermata, anche dopo averne scomposto tutte le infinite sue parti; è un po' come la luce; la possibilità di scomporne lo spettro cambia solo il nostro punto di vista sulla luce, ma non la sua identità o natura.

 

l'indipendenza e il libero pensiero?

Esercitandolo

 

La tua musica è indipendente da chi e da che cosa e perché, ed è, al contrario, indipendente e libera per quali aspetti?

E' una domanda alla quale mi è difficile rispondere... mi auguro solo che la prima indipendenza della 'mia' musica sia esercitata innanzitutto, dal suo punto di vista, verso il suo stesso autore... come per gli artisti tibetani non ha senso firmare le proprie opere, sarebbe molto bello che ciò si potesse realizzare anche con la musica, libera di esistere .... nonostante il suo autore.

 

Cosa ti aspetti da questo nuovo libro?

E' forse più interessante sapere quali sono le sue aspettative rispetto ai nostri farfugliamenti, in fondo non è il lui il lettore ideale e ...il padrone di casa?

 

 

Nicola Cisternino risponde a dieci domande formulate dal musicologo Renzo Cresti

Qual è il tuo rapporto in generale con la letteratura, con la pittura e con altre forme artistiche?

In fondo tutte le arti o forme espressive necessarie all'uomo, sono modalità estrinseche o ‘manifestazioni' di una necessità fondamentale, quella di riuscire a farne immagini, suoni, forme ed espressioni che permettano di dare forma nello spazio e nel tempo al pensiero, ai sogni, al non visto. Sono Vie, tutte le forme artistiche ed espressive, dei tracciati grazie ai quali l'uomo trascende la sua esistenza per coltivare la conoscenza. La Musica è certamente una Via privilegiata, avvolgente, un Via molto larga che è in grado di comprendere anche molte altre espressioni… ed è, metaforicamente, soprattutto una Via non pienamente tracciata, una sorta di solco, di segno accennato, grazie al quale si sa che è possibile andare . La Via non è la strada, non sono i contorni, i confini, le possibili conformazioni della linea, dal viottolo al tratturo polveroso, alla comoda strada asfaltata: la Via…è il camminare, l'andare che è proprio ciò che ognuno coltiva con il proprio cammino.

“Caminantes hay caminos hay que caminar” citava la celebre iscrizione sulle pietre di un chiostro trecentesco di Toledo che folgorò letteralmente Nono negli anni ottanta.

Se la Musica dunque è una Via della conoscenza – come Scelsi amava dire – le altre arti lo sono altrettanto.

Nel mio caso, nel mio cammino sulla Via del suono e della musica, sono soprattutto le forme che si svelano attraverso lo sguardo, che riguardano cioè soprattutto l'occhio e l'immagine, i linguaggi con i quali mi confronto continuamente. Mi sembra che si possa dire che il suono è una sorta di vuoto d'aria che costituisce il tempo (l'invisibile) di un pieno che è lo spazio, i volumi, le architetture (il visibile); è una manifestazione intrinseca l'una dell'altra. L'aria, in quanto suono, frequenza modulata, modella il nostro spazio, volume, habitat nel quale nasciamo, viviamo e moriamo; habitat nel quale si sviluppano le relazioni (quelle dei corpi, delle masse) ma anche le idee, i pensieri. In quanto uomini siamo in grado di porci in ascolto stando su quella soglia, a tratti impercettibile e silenziosa, a tratti immensa e rumorosa, che delimita il pieno del visibile dal vuoto dell'invisibile. Ma questo vuoto è incommensurabile e soprattutto ascoltabile .

Larte cambia perché cambia il nostro concetto sul modo in cui opera la natura' dirà John Cage a Perugia in uno dei suoi illuminanti interventi, poche settimane prima di morire, citando Ananda Coomaraswamy; è quel cambiamento, quella trasformazione, o meglio ancora quella trasmutazione che permetterebbe all'uomo-caminantes che si pone in cammino (in ascolto ) di entrare nelle più recondite profondità della Natura; in fondo nel cercare suoni – così come Cage cercava funghi – siamo aperti all'inatteso, colti dallo stupore e dalla meraviglia allorquando riconosciamo un suono (una voce… quella materna si dirà o, quella di Dio, chissà!!!). In fondo è una sorta di necessità pre-linguistica che ci muove in maniera quasi sciamanica o da rabdomante alla ricerca di una forma (anche un suono lo è); e la ricerca di una forma, che è la ricerca di una relazione, di una connessione con l'esperienza (percettiva nella sua globalità linguistica, dall'orecchio all'occhio, al tatto e così di seguito…).

Se mi è immediatamente prossima la ricerca di quel centro-cuore del suono scelsiano, lo è altrettanto l'anacoretica ricerca della forma di Brancusi, con la sua straordinaria capacità e dedizione di levigare all'infinito la materia (non certo per renderla esteticamente più bella e lucente) quanto soprattutto per accarezzarla, quel levigare con le proprie mani alla ricerca di quel contatto – il Mana sciamanico (o anima della forma) - come nel caso della sua straordinaria scultura pour les aveugles giovanile, prima opera tattile della storia delle forme.

Il Brancusi del Mistero (“ L'arte fa nascere le idee, non le riproduce. Questo vuol dire che un'opera d'arte vera nasce intuitivamente senza una ragione sconosciuta prima, perché l'arte è la ragione stessa e non si può spiegare a priori' ) e del Silenzio (assoluta la sua Tavola del silenzio , assieme alla Colonna senza fine , a Tirgu-Jiu), quel silenzio-polvere-immobilità (non statuaria) delle opere di Morandi, o del tintinnio filiforme di un Melotti, o ancora le profondità abissali dei monocromi di Yves Klein o delle superfici infinite, al di la delle loro dimensioni di un Rothko. Un mondo che osserva gli uomini attraverso le forme della quotidianità che tanto richiamano quelle poetiche a punti (ma quanti ammassi siderali fra un punto-stella e l'altro) weberniane ma ancor più - e ciò non sembri un azzardo- a quelle isolane di Nono.

Dunque se l'arte ha il compito di far nascere le idee , ancor più riesce a far nascere suoni e non certo per pura associazione o soltanto per relazioni sinestesiche. E' molto più probabile che quegli uomini –perché certamente era un fenomeno sociale e corale – che disegnavano animali e scene di caccia nelle grotte primitive realizzassero il tutto a ritmo di voci e canti come del resto ancor'oggi ci raccontano le culture aborigene dell'Australia – e qui il fatto assume anche dimensioni letterarie – con Le vie dei canti del Tempo del Sogno, come Chatwin ha magicamente raccontato nel suo omonimo libro che è alla base di un ciclo di mie composizioni, alcune realizzate all'Upic di Parigi alla fine degli anni novanta ( Xoomij per voce di basso e nastro e A-na-i-li-su per gocce d'acqua e menbrane)

"... Gli aborigeni credono che una terra non cantata sia una terra morta: se i canti vengono dimenticati, infatti, la terra ne morirà. Permettere che questo accada é il peggiore di tutti i delitti possibili." (Bruce Chatwin)

 

Se dunque quegli uomini graffitavano le caverne con il canto, è molto probabile che non si tratta di ricucire rapporti lontani, tra il suono, l'immagine e il gesto ecc… quanto di riscoprire a priori quanto fosse unito prima di essere scisso (l'idea di cultura per noi occidentali è definita in quanto separazione, divisione e spezzettamento-specializzazione magari per scoprire poi alla fine che di tutti questi pezzi bisognerà farne un rattoppo... che c'entri simbolicamente qualcosa quel mostro-drago che sarà spezzettato ad apertura dello Zauberflöte mozartiano?)

 

Come l'arte, e in particolare la poesia, entra nella tua musica?

Quanto alla poesia, resta una grande questione poiché il problema della parola-phoné è per me un grande rebus, nel suo possibile uso musicale. E' come se la poesia bastasse a se stessa tanto quanto la musica, il suono. Per questo, quasi biologicamente, non sono affatto interessato alla rappresentazione o a qualsivoglia esperienza di messa in scena della poesia attraverso la musica o, ancora peggio, a farne di ciò scena e/o teatro.

Il cinema fa tutto ciò molto meglio.

 

Compositivamente come ti comporti quando usi un testo?

Per me un testo è dunque soprattutto un pre-testo, nel senso che sta prima (la lettura è l'unico esercizio esercito regolarmente), intorno, dentro alla musica. E' soprattutto l'esperienza della lettura che mi interessa più che l'uso di un testo.

Del resto non riesco a comporre suoni e/o a impastare materie - ed ormai è un po' di anni che credo di averlo capito - se non ciò che mi è strettamente necessario, che si manifesta alle mie orecchie-occhi (I Graffiti e le Preghiere), che si rivela a me stesso.